giovedì 15 dicembre 2011

Camelia - Nel vento

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo apparso sul "New York Times" del 24 agosto 2007. Camelia Entekhabifard, giornalista, e' autrice di Camelia: Save Yourself by Telling the Truth - a Memoir of Iran]

Molte volte, a Teheran, mio zio Ali usciva di prima mattina per raccogliere
grossi funghi sulla montagna di Shemiran. Ogni estate ed ogni autunno,
quando vedevo i temporali addensarsi nell'aria, sapevo che avremmo avuto
grandi mucchi di succosi funghi selvatici. Mio zio credeva che i temporali
spingessero i funghi giu' dalla cima del monte alle sue pendici sassose.
Cosi' i "cacciatori" di funghi come zio Ali si alzavano presto la mattina
dopo il temporale, per trovarli e tagliar loro la testa. Come giornalista e
scrittrice iraniana, ho spesso paragonato me stessa e molti dei miei
colleghi a quei funghi. Nel 1992, quando cominciai a lavorare a Teheran,
stavo molto attenta a quel che scrivevo. E questo ando' avanti fino
all'elezione di Mohammad Khatami, il presidente "riformista" nel 1997.
Allora io, e numerosi altri giornalisti, ci affrettammo ad andare a lavorare
per i principali quotidiani riformisti del paese. I chierici moderati
iniziarono ad usare la stampa per mettere in discussione le leggi basate
sulla religione, come i codici d'abbigliamento restrittivi e la morte per
lapidazione. Il presidente Khatami apporto' alcune riforme al sistema
politico e svelo' il ruolo degli agenti dello spionaggio iraniano negli
omicidi di un certo numero di intellettuali.
Ogni giorno i giornalisti iraniani, con il sostegno del popolo iraniano,
andavano in profondita' nel dare notizie o mettevano in questione il
sistema. Avevamo fiducia nel fatto che i cambiamenti raggiunti erano
definitivi e che saremmo stati protetti dal governo che avevamo eletto.
L'ultima rivista per cui ho lavorato in Iran, "Zan", fu chiusa per ordine
del tribunale nella primavera del 1999. All'epoca io mi trovavo negli Usa, e
fui arrestata non appena rimisi piede a Teheran. Fui tenuta, per ordine del
governo, in isolamento per tre mesi, durante i quali confessai crimini che
non avevo commesso e feci tutto quello che un essere umano poteva fare per
salvare la propria vita.
Adesso sono arrivata a chiedermi se le opportunita' che avevamo scambiato
per vere riforme non fossero che illusioni create per ingannarci. Il governo
iraniano incoraggio' quella breve era per poter identificare meglio i propri
oppositori ed eliminarli? L'elezione di Khatami fu il temporale che permise
infine al governo di darci la caccia?
*
Questa tempesta non ha travolto solo noi, ma anche gli intellettuali
iraniani espatriati che avevano iniziato a tornare nel paese quando il
presidente Khatami invio' all'estero il messaggio che "L'Iran e' per tutti
gli iraniani". Di recente alcuni di essi sono stati arrestati.
Ramin Jahanbegloo, che e' uno studioso iraniano-canadese, ha passato quattro
mesi in una galera iraniana, l'anno scorso. Ha "confessato" sui media
nazionali che alle conferenze fuori dall'Iran "entrava in relazione" con
molti americani ed israeliani, e che parte di costoro erano "agenti dello
spionaggio". Zahra Kazemi, una fotografa iraniana-canadese, e' morta sotto
interrogatorio mentre era detenuta a Teheran. E, naturalmente, Haleh
Esfandiari, un'intellettuale iraniana-statunitense che dirige il programma
per il Medio Oriente del Centro Internazionale Wilson per docenti, a
Washington, ha passato cento giorni nella prigione di Evin, prima di essere
rilasciata su cauzione martedi' scorso [La madre di Haleh Esfandiari ha
venduto la propria casa per pagare l'ingente cauzione della figlia - ndt].
Anche lei ha dichiarato in televisione di essere in combutta con la
"rivoluzione morbida" contro il regime di Teheran. La situazione in cui la
dottoressa Esfandiari si trova oggi e' la stessa che ripetutamente i
cittadini iraniani che osino pensarla in modo differente devono affrontare.
*
Il messaggio mandato agli intellettuali iraniani all'estero e' lo stesso che
viene dato a quelli ancora nel paese: "Non sei piu' il benvenuto, qui". Chi
ha avuto un assaggio delle prigioni e degli interrogatori in Iran, inclusi
gli accademici e gli scrittori della mia generazione, o i marinai britannici
recentemente detenuti per ordine del governo, sa di cosa parlo. Si tratta di
tortura psicologica e false accuse. In prigione, tutto quel che ti resta e'
pregare di riavere la tua liberta' per potertene andare dall'Iran e non
tornarci mai piu'. E questo e' cio' che il regime vuole per qualunque
studioso, intellettuale, scrittore che possa avere una qualche influenza
sulla gente in Iran: che si lasci il paese e che si sia troppo spaventati
per farvi ritorno. Ancora non e' chiaro se alla dottoressa Esfandiari verra'
permesso di lasciare presto l'Iran. Non sarei sorpresa se in questo momento
stesse promettendo a se stessa di non far mai piu' visita alla madre e al
proprio paese, e se consigliasse altri di fare la medesima cosa.

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