Intervista a Herman Koch
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Dove ha tratto l'ispirazione per questa vicenda?
La scelta di questo tema è legata a un fatto realmente accaduto in Spagna, a Barcellona, dove ho vissuto per qualche anno: ho visto alla televisione due ragazzini ripresi dalla telecamera di sicurezza mentre uccidevano una barbona che dormiva in un bancomat. In quel momento non mi sono identificato con la vittima, ma mi sono chiesto come mi sarei comportato nella stessa situazione, da padre che vede il proprio figlio commettere un gesto di questo genere. Credo sia una questione delicata che va affrontata in famiglia ed è per rispondere a questa domanda iniziale che ho cominciato a scrivere il libro.
I personaggi del suo romanzo tentano di mantenere a tutti i costi l'immagine di una famiglia felice: quanto pensa corrisponda alla realtà questo atteggiamento?Credo che nel momento in cui accade qualche cosa a un figlio sia normale cercare di aiutarlo. Proprio come succede quando si ammala: si fa di tutto per farlo guarire. Non penso sia un atteggiamento tipico degli olandesi, ma un modo abbastanza generalizzato di comportarsi.
Però nel corso del romanzo, veniamo a scoprire che Paul, il padre di uno dei ragazzi, soffre a sua volta di una malattia genetica che lo rende violento: questa, perciò, è una famiglia che ha già diversi problemi, ma il tentativo è comunque quello di nasconderli...La malattia di cui soffre Paul non è poi così grave, potremmo definirla un piccolo disturbo”. Il padre ha soprattutto delle fantasie violente e lo scoppio di violenza vera e propria, in tutto il romanzo, c'è una sola volta, ed è diretto contro il preside della scuola del figlio. Non la definirei quindi una famiglia problematica, ma una famiglia tutto sommato felice. Penso ci siano tantissime persone che potrebbero dire di vedere le cose come Paul: ho letto, ad esempio, una lettera pubblicata sul Corriere della Sera in cui si parla di un automobilista che ha picchiato un barbone che stava urinando contro un muro. Ecco, io credo ci sia molta gente intorno a noi che può avere pensieri come questo, anche se poi non li mette in pratica.
Come mai la scelta del cibo come scansione della trama e come momento conviviale che si sostituisce quasi all'intimità familiare?La scelta della cena, operata fin dall'inizio, è legata alla necessità di avere quattro personaggi intorno ad un tavolo. Una cena così, come la conosciamo tutti, dove si comincia a parlare di argomenti anche abbastanza banali – chi ha smesso di fumare, la guerra in Iraq, un film... Poi, man mano che il tempo passa, si diventa sempre più intimi e spesso, verso la fine della serata, magari un po' ubriachi, non si sa più nemmeno quello che si dice. Non penso che la cena, così come la descrivo io, sostituisca il rapporto di coppia o all'interno della famiglia: ho voluto presentarla piuttosto come un'occasione piacevole, un momento sociale per riunire delle persone.
Il crescendo di violenza che sembra colpire i personaggi del romanzo era già previsto dalla trama o si è sviluppato via via?Non costruisco una trama fin dall'inizio: quando ho cominciato a scrivere, non sapevo che si sarebbe manifestata tutta questa violenza. In particolare, mi sono reso conto durante la stesura che il padre poteva avere fantasie violente – il primo episodio è quello con il venditore di biciclette. La trama si è costruita gradualmente, non era stata decisa a priori, ma di un particolare ero sicuro, ovvero del fatto che il politico non avrebbe cercato fin dall'inizio di proteggere il figlio, se stesso, la sua famiglia e la sua carriera, incolpando il figlio del fratello. Questo perché non sarebbe stata una sorpresa per il lettore, visto che è proprio il comportamento che ci si aspetta da un politico.
Oltre al fastidio provato per la presenza di senzatetto, traspare anche una forma di razzismo verso le persone di colore.Uno dei temi che ho voluto affrontare è l'atteggiamento che si ha spesso nei confronti delle persone di colore o comunque immigrati: si pensa che debbano essere a tutti i costi aiutate e protette. Così facendo, però, si manifesta una certa superiorità nei loro confronti. In realtà, non sempre queste persone sono delle vittime che devono essere aiutate e quindi si può anche essere “stronzi” con loro. Quello di cui si parla nel romanzo non è il razzismo quotidiano, ma quella forma di paternalismo che porta a proteggere e aiutare una persona di colore, costi quel che costi, solo perché in fondo pensiamo che sia inferiore a noi.