diario di lettura/visione
sabato 11 giugno 2016
Matteo Bussola - Notti in bianco, baci a colazione
Hanno già scritto tutto sul libro di Matteo , non potrei ormai scrivere di meglio, quindi mi propongo solo di fare una raccolta di tutti i link a cui sarà facile acccedere :)
Il miglior erede di Brunella Gasperini
su WIRED
domenica 16 giugno 2013
Herman Koch - La cena
Intervista a Herman Koch
Leggi la recensione del romanzo
Dove ha tratto l'ispirazione per questa vicenda?
La scelta di questo tema è legata a un fatto realmente accaduto in Spagna, a Barcellona, dove ho vissuto per qualche anno: ho visto alla televisione due ragazzini ripresi dalla telecamera di sicurezza mentre uccidevano una barbona che dormiva in un bancomat. In quel momento non mi sono identificato con la vittima, ma mi sono chiesto come mi sarei comportato nella stessa situazione, da padre che vede il proprio figlio commettere un gesto di questo genere. Credo sia una questione delicata che va affrontata in famiglia ed è per rispondere a questa domanda iniziale che ho cominciato a scrivere il libro.
I personaggi del suo romanzo tentano di mantenere a tutti i costi l'immagine di una famiglia felice: quanto pensa corrisponda alla realtà questo atteggiamento?Credo che nel momento in cui accade qualche cosa a un figlio sia normale cercare di aiutarlo. Proprio come succede quando si ammala: si fa di tutto per farlo guarire. Non penso sia un atteggiamento tipico degli olandesi, ma un modo abbastanza generalizzato di comportarsi.
Però nel corso del romanzo, veniamo a scoprire che Paul, il padre di uno dei ragazzi, soffre a sua volta di una malattia genetica che lo rende violento: questa, perciò, è una famiglia che ha già diversi problemi, ma il tentativo è comunque quello di nasconderli...La malattia di cui soffre Paul non è poi così grave, potremmo definirla un piccolo disturbo”. Il padre ha soprattutto delle fantasie violente e lo scoppio di violenza vera e propria, in tutto il romanzo, c'è una sola volta, ed è diretto contro il preside della scuola del figlio. Non la definirei quindi una famiglia problematica, ma una famiglia tutto sommato felice. Penso ci siano tantissime persone che potrebbero dire di vedere le cose come Paul: ho letto, ad esempio, una lettera pubblicata sul Corriere della Sera in cui si parla di un automobilista che ha picchiato un barbone che stava urinando contro un muro. Ecco, io credo ci sia molta gente intorno a noi che può avere pensieri come questo, anche se poi non li mette in pratica.
Come mai la scelta del cibo come scansione della trama e come momento conviviale che si sostituisce quasi all'intimità familiare?La scelta della cena, operata fin dall'inizio, è legata alla necessità di avere quattro personaggi intorno ad un tavolo. Una cena così, come la conosciamo tutti, dove si comincia a parlare di argomenti anche abbastanza banali – chi ha smesso di fumare, la guerra in Iraq, un film... Poi, man mano che il tempo passa, si diventa sempre più intimi e spesso, verso la fine della serata, magari un po' ubriachi, non si sa più nemmeno quello che si dice. Non penso che la cena, così come la descrivo io, sostituisca il rapporto di coppia o all'interno della famiglia: ho voluto presentarla piuttosto come un'occasione piacevole, un momento sociale per riunire delle persone.
Il crescendo di violenza che sembra colpire i personaggi del romanzo era già previsto dalla trama o si è sviluppato via via?Non costruisco una trama fin dall'inizio: quando ho cominciato a scrivere, non sapevo che si sarebbe manifestata tutta questa violenza. In particolare, mi sono reso conto durante la stesura che il padre poteva avere fantasie violente – il primo episodio è quello con il venditore di biciclette. La trama si è costruita gradualmente, non era stata decisa a priori, ma di un particolare ero sicuro, ovvero del fatto che il politico non avrebbe cercato fin dall'inizio di proteggere il figlio, se stesso, la sua famiglia e la sua carriera, incolpando il figlio del fratello. Questo perché non sarebbe stata una sorpresa per il lettore, visto che è proprio il comportamento che ci si aspetta da un politico.
Oltre al fastidio provato per la presenza di senzatetto, traspare anche una forma di razzismo verso le persone di colore.Uno dei temi che ho voluto affrontare è l'atteggiamento che si ha spesso nei confronti delle persone di colore o comunque immigrati: si pensa che debbano essere a tutti i costi aiutate e protette. Così facendo, però, si manifesta una certa superiorità nei loro confronti. In realtà, non sempre queste persone sono delle vittime che devono essere aiutate e quindi si può anche essere “stronzi” con loro. Quello di cui si parla nel romanzo non è il razzismo quotidiano, ma quella forma di paternalismo che porta a proteggere e aiutare una persona di colore, costi quel che costi, solo perché in fondo pensiamo che sia inferiore a noi.
lunedì 27 febbraio 2012
Questo non me lo perdo!
No no, lo voglio proprio leggere, perché il blog dell'autore merita, e le "avventure di un libraio" (oddio, si incontra gente che non avrei mai immaginato!) mi interessano sempre (e scommetto anche a voi).
L'ebook costa meno di 3 euro e qui ci sono tutte le istruzioni per comprarlo.
Qui potete leggerne un breve estratto.
lunedì 30 gennaio 2012
Luisella Fiumi
Rubriche > interviste della domenica Gaetano Tumiati, giornalista e scrittore ferrarese, ha 88 anni e un grande avvenire dietro le spalle. Non vive di ricordi ma ama raccontare una vita vissuta intensamente. Da quindici anni risiede a Verago di Trevozzo. La casa è ordinata, disposta su due piani, molti i libri tra i quali spiccano "Caos calmo" di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega e "Il podestà ebreo" di Ilaria Pavan che lo riporta alle radici, alla sua Ferrara, quella di Bassani e Antonioni, la città in cui è nato e dove ha vissuto gli anni di una gioventù non sempre beata. Due volte la settimana, di buonora raggiunge a piedi la vicina Sala Mandelli, quattro chilometri tra andata e ritorno. Osserva il paesaggio con uno spirito particolare, leopardiano per intenderci, con il pessimismo di chi, giunto quasi al termine di un lungo viaggio, ha la consapevolezza delle difficoltà della vita, della bellezza e della malvagità della natura, in cui - purtroppo - il falco mangia sempre il leprotto. Da quanto tempo risiede nel Piacentino?«Sono quindici anni che abito a Verago. Prima di stabilirmi qui avevo una casa a Nizza Monferrato, in Piemonte, ma la dolcezza delle colline piacentine e la disponibilità della gente di queste parti mi rendono sereno. In estate, da giugno ad ottobre, non mi muovo da qui mentre con l'autunno e l'inverno io e mia moglie ci fermiamo solo per il fine settimana. Sono sposato con Olga, è molto più giovane di me, è il mio pilastro, la mia guida sicura. Mi regala certezze, è forte, è stata negli anni caldi del Sessantotto una leader del Movimento Studentesco. Ha carattere Olga e senza di lei non saprei come potrebbe essere oggi la mia vita. Sì, sono stato sposato con Luisella Fiumi, una brava scrittrice e una donna sensibile e straordinaria. Sono felice di vivere da queste parti, ho fraternizzato con la gente di Verago, apprezzo la bellezza di queste vallate e adoro il pane piacentino». La sua Ferrara, qual è il ricordo di quella città?«Ferrara è la città in cui sono nato il 6 maggio 1918 e dove ho coltivato amicizie importanti. Mio padre Leopoldo apparteneva all'alta borghesia cittadina. Era avvocato e preside della facoltà di giurisprudenza. Gli zii Domenico e Gualtiero erano attori, drammaturghi, mentre zio Corrado, psichiatra, ben presto lasciò l'attività medica per svolgere quella di scrittore. Con il romanzo "I tetti rossi" s'aggiudicò il premio Viareggio nel 1931 e poi si trasferì a Firenze, dove assunse la carica di vicedirettore di una rivista molto importante, Il Ponte diretta, tra il 1945 e il 1956, da Piero Calamandrei. Io ho studiato presso i Barnabiti. Furono quattro anni di tormento, di sofferenza, di preghiere recitate con il senso del peccato e dell'espiazione. Il cattolicesimo di Pio XII, visto oggi, mi pare una barbarie. Fu grande, Papa Giovanni XXIII, a ridisegnare un'immagine nuova della Chiesa, ho stima per Papa Roncalli. Torno ai miei studi: mi laureai in giurisprudenza con 110 e lode e come tutti gli studenti di allora aderii, entusiasta, al Guf e poi partii volontario in Libia perché, come tanti giovani del tempo, ero convinto che i dettami del Duce fossero gli unici cui fare riferimento. Vivevo in un'Italia piccola e provinciale, il mondo andava avanti e noi, senza rendercene conto, viaggiavamo dalla parte opposta. Ricordo una frase che mi fece capire quanto il fascismo potesse incidere sulla nostra cultura di allora: su un muro era scritto che la guerra sta all'uomo come la maternità alla donna» Furono anni difficili?«Anni drammatici in cui ho vissuto in prima persona i drammi di una guerra interminabile. Rimasi in Libia per un paio d'anni, l'esercito italiano era povero, malridotto e, soprattutto, privo d'organizzazione. Fui fatto prigioniero, trasportato in Tunisia, in Algeria, in Marocco e poi negli Stati Uniti, in Texas per essere preciso. Rimasi in America fino al febbraio del 1946. Gli americani durante la guerra ci trattarono molto bene. Divenni amico fraterno di Giuseppe Berto, conobbi Alberto Burri, Dante Troisi, Armando Boscolo e Beppe Niccolai. Ho anche raccontato nel libro "Prigionieri del Texas" la dura esperienza sofferta nel campo di Hereford nei mesi successivi alla fine della guerra. Dagli ultimi di maggio del 1945 hanno cominciato a diminuire le razioni di cibo. Prima hanno chiuso lo spaccio, poi hanno abolito le salse, il burro, ogni tipo di carne, fresca, congelata o in scatola. Non bastando, si passò a punizioni ancora più gravose: adunate senza scopo sotto il sole cocente, dalle dieci del mattino alle tre del pomeriggio, e gradevolezze del genere. La guerra era finita, ma a Hereford tutto restava uguale, cristallizzato. I prigionieri non capivano che cosa stava succedendo in Italia. Nel dubbio s'irrigidirono, evitando ogni collaborazione con gli americani, a loro volta sospettosi e orripilati dalla scoperta dei lager nazisti fecero di tutto per ritardare il ritorno a casa degli italiani, tanto che gli ultimi quattromila, me compreso, furono rimpatriati nel febbraio del 1946». Una brutta storia la guerra, un'esperienza amara...«Mi chiedo ancora oggi perché tanta violenza, in pochi anni. Ricordo mio fratello Francesco. Nel 1941 decise di arruolarsi volontario. Mandato in Nordafrica, tornò in Italia nel febbraio del 1942, per seguire a Bologna un corso per allievi ufficiali. Promosso sottotenente fu assegnato al 32° Reggimento carristi. Fu sorpreso dall'armistizio mentre, con il suo reparto, si trovava a Cantiano, nella zona montana tra l'Appennino centrosettentrionale e il mare Adriatico. Mio fratello si diede alla macchia, seguito da un gruppo di suoi carristi e ben presto divenne, con il nome di "Francino", comandante del distaccamento "Pisacane" della Brigata Garibaldi "Pesaro". Per otto mesi guidò i suoi partigiani in azioni audaci contro i nazifascisti. Nel maggio del 1944, durante un massiccio rastrellamento, Francesco fu catturato dai tedeschi e sottoposto ad un processo sommario. Fu immediatamente fucilato. Capisce? Io stavo in Texas a marcire e mio fratello era morto. Ancora oggi non mi do pace. Strana la vita e ancora più strana è la guerra, sempre ingiusta. Per ripicca, quando tornai decisi che avrei fatto il giornalista e non l'avvocato». Ebbe allora inizio la sua carriera d'inviato per i più importanti quotidiani italiani, ma anche la sua carriera di scrittore e di direttore di uno dei più prestigiosi periodici illustrati, l'Illustrazione italiana.«Cominciai all'Avanti. Fu Riccardo Lombardi ad inserirmi nella redazione milanese. Guadagnavo pochissimo e scrivevo moltissimo. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nel 1948, l'Italia lacerata del Dopoguerra e Nenni che scrive a Mao Tse Tung chiedendogli di ospitarmi in Cina come inviato. Un mese dopo il visto. Partii, tra lo stupore dei colleghi comunisti in un viaggio straordinario. Nella Cina maoista. E così, dopo il Texas mi ritrovai ancora una volta a fare i conti con Paesi lontani, perché di lì a poco fui inviato in Corea del Nord. Finalmente tra il 1958 e il 1960 passai a "L'Illustrazione Italiana", una rivista molto ricercata. Divenni il direttore, conobbi Ugo Mulas, uno straordinario fotografo. Avevo smesso di viaggiare, ma di lì a poco, a "La Stampa", avrei dovuto rimettermi in auto, questa volta lungo l'Italia». Nei primi anni Sessanta ebbe l'incontro con Giulio De Benedetti...«Più che un incontro fu un bombardamento giornalistico. Arrivai a "La Stampa" con la qualifica d'inviato speciale. Io ero alla redazione milanese del quotidiano. De Benedetti era un direttore vecchia maniera. Non transigeva, il mattino si viaggiava, il pomeriggio ci s'informava e la sera si trasmetteva. Furono anni in cui gli inviati del quotidiano torinese erano tra i migliori in circolazione. Ci occupavamo di tutto. Dai gruppi extraparlamentari ai servizi segreti». Poi l'incarico di vicedirettore di Panorama e l'esperienza al Secolo XIX... «Lamberto Sechi è il padre nobile di tanti giornalisti. Ma anche di tanti giornali, dal momento che è stato lui, con la fondazione di "Panorama", ad introdurre in Italia il modello del newsmagazine di scuola anglosassone. Non solo, dalla scuola inglese importò e diffuse anche l'ormai abusato slogan: i fatti separati dalle opinioni. E posso anche essere orgoglioso di essere stato il vicedirettore di quel settimanale in anni importanti in cui ho avuto modo di lavorare con un gruppo di colleghi più giovani che poi sono tutti diventati direttori o vicedirettori di testate importanti: Giulio Anselmi, Claudio Rinaldi, Carlo Rossella, Claudio Sabelli Fioretti, Carlo Rognoni. Una buona scuola. Per quanto riguarda "Il Secolo XIX" avevo una collaborazione. Scrivevo un paio di editoriali alla settimana, eravamo nei primi anni Novanta. Ricordo la cordialità e la serietà di Gaetano Rizzuto (allora vice-direttore vicario del "Secolo XIX, di cui poi è stato direttore per 5 anni), col quale ho avuto un rapporto esemplare. Un po' meno felice l'esperienza con il direttore Mario Sconcerti. Mai una telefonata e nessun confronto». Come la mette con il senso dell'esistenza, lei che ha attraversato questo Paese partendo dal fascismo fino a questi anni Duemila intrisi di populismo mediatico?«Non sono orgoglioso d'essere italiano. Per niente. Mi spiego. Abbiamo avuto delle menti straordinarie, da Dante a Petrarca, da Manzoni a Leopardi ma non possediamo il senso dello Stato. Sono un ciampiano autentico, sono ateo anche se quando è venuto a mancare Giovanni Paolo II ho provato un senso di vuoto e ho avuto una grande stima per tutti quei giovani che sono scesi a Roma, pellegrini dei nostri giorni, a porgergli l'ultimo saluto. Questi giovani appartengono alla parte buona dell'Ulivo. Sì, perché io ho votato per Prodi e sono convinto nelle potenzialità di questo uomo di Stato». 04/09/2006 16.28.43 |
Luisella e Olga
Gaetano Tumiati ha scritto per Libertà questo articolo dedicato ai due grandi amori della sua vita: Luisella e Olga
IL GRANDE AMORELuisella Fiumi, nata e vissuta a Milano ma con una lunga parentesi triestina - dal Liceo alla laurea in Lettere -, giornalista, scrittrice, autrice di libri di successo (Come donna zero, Madri e figlie), è stata il grande amore della mia vita. Colpo di fulmine alla mensa dei giornalisti, fine anni Quaranta. Immediatamente affascinato dalla sua avvenenza mediterranea, ma soprattutto dall'acume con cui difendeva le sue convinzioni filosofiche, politiche, letterarie. Affascinanti anche le sue contraddizioni caratteriali: timida ma risoluta, dimessa nell'abbigliamento ma in fondo in fondo un po' snob, radicata nella sua milanesità, ma piena di nostalgia per la "sua" Trieste.
Ci sposammo soltanto nel '53 dopo anni turbolenti di entusiasmi e lunghe rotture. Matrimonio religioso in Sant'Eustorgio anche se tutti e due "non credenti". Molti invitati, gran pranzo al Gallia.
Quelli immediatamente successivi sono stati gli anni più felici della mia vita. Amore fisico tanto; ma soprattutto un dialogo continuo, una catena di confessioni, ricordi, confronti, convincimenti, speranze, quasi a denudarci anche spiritualmente. Non sempre d'accordo - tra l'altro, io socialista, lei chiaramente "liberal" - ma tutti i due entusiasti di tanto calore comunicativo.
Appagato nel mio lavoro giornalistico e ora addirittura alle stelle per l'unione con lei, una sera, dopo un dialogo più caldo del solito, sbottai in questa ingenua, clamorosa esclamazione: "Sono l'uomo più felice del mondo!".
Lei un'affermazione simile non l'avrebbe mai fatta. Al massimo, alla domanda se fosse felice, avrebbe risposto ironicamente: "Beh, quasi". Pienamente penso non lo sia mai stata. Gioia e allegria apparivano sul suo viso soltanto in certe occasioni: articoli ben riusciti, scorribande al Supermarket con l'amica del cuore, scampagnate domenicali in comitiva con le gemelle e altri bambini che ruzzolavano nell'erba.
Purtroppo con il passar del tempo queste illuminazioni vennero facendosi sempre più rare. Al loro posto i primi sintomi della depressione: occhi improvvisamente spenti, viso inerte, opacità. "Ho paura", mormorava. "Di che? Dimmi, dimmi!". "Non so".
Perché? Cosa provocava quella inspiegabile angoscia? Forse l'eccesso di sensibilità? Certo l'aggravarsi della ipoacusia destinata anni prima ad isolarla via via dal mondo. Ma oggi penso - allora non me ne rendevo ben conto - che la causa determinante fosse un'altra: il Ruolo, cioè i compiti tradizionali di moglie, di madre, di donna, che soffocavano la sua ansia di libertà, la sua aspirazione alla parità con l'uomo.
Se davvero l'angoscia aveva queste origini c'era poco da fare. A ben poco infatti valsero amore familiare, successo letterario, cure chimiche e psicanalisi. E neppure l'impegno nel Movimento femminista. Forse si sarebbe salvata con una rottura, con una fuga verso la libertà e l'indipendenza. Magari nella sua Trieste. Ma c'era quella maledetta sordità, e poi ci voleva troppo bene. E non ne ebbe la forza.
IL ROBUSTO PILASTROAl primo incontro con Luisella io avevo trent'anni, lei ventiquattro; a quello con Olga, colei che sarebbe diventata la mia seconda moglie, io sessantadue, lei trentaquattro. E ne dimostrava anche meno. Chiara d'occhi e di capelli, piccolo naso "francese", a tutta prima la scambiai per un'amica delle mie figlie. Ma non ci volle molto a capire che, sotto quell'aspetto, c'era una donna forte, concreta, di poche parole. Una che, di fronte a qualsiasi difficoltà, sfoderava un suo motto perentorio: "No problem!". Del resto le sue capacità le aveva dimostrate coi fatti. Milanese, origini piacentine, laureata in Scienze politiche, sposata giovanissima e presto divorziata, per mantenere se stessa e la sua bambina, Laura, era riuscita a sfondare in un campo diversissimo dal suo: titolare a Bologna di un piccolo Centro audiometrico, specializzato nella vendita di sofisticati apparecchi acustici. E da Bologna, per vedere la sua bambina, affidata ai nonni, sfrecciava a Milano due volte la settimana su un'Alfetta coupé, centocinquanta all'ora.
A convocarla a casa nostra era stata Luisella stessa nella speranza trovasse un rimedio alla sua incubosa ipoacusia. Purtroppo un rimedio tecnico non c'era. Preziosissimo invece l'aiuto psicologico che Olga poté darle: consigli, esortazioni, regole per evitare imbarazzo. Per oltre due anni. Fino alla fine. Rimasto solo, ero convinto che Olga non l'avrei più vista. Invece dopo qualche tempo riapparve. Omaggio alla memoria, solidarietà nel dolore che mi fece piacere. Seguì una lunga serie di incontri sempre più frequenti e più caldi, tanto che alla fine decidemmo di metterci insieme senza progetti matrimoniali, però. Sotto questo aspetto la più intransigente era lei. Quando un anno dopo le proposi di sposarmi, mi bloccò con un sommesso, inesorabile "no", ribadito via via ogni volta che rinnovavo la proposta. (Soltanto pochi anni fa quel "no" si è finalmente sciolto: matrimonio civile, niente inviti, niente pranzo).
Olga entrò dunque nella vecchia casa di via Quadronno e con lei anche sua figlia Laura, una dodicenne graziosa, seria, pulita - oggi giovane architetto - che, con mio gran piacere, allietò le stanze che erano state delle mie figlie.
Da quel giorno Olga ha saputo affrontare e risolvere i nostri problemi, in particolare i miei, all'insegna del "no problem": da quelli dell'assistenza sanitaria a quelli della cucina; da quelli degli spostamenti e dei viaggi, capacissima di resistere ore e ore al volante, a quelli di giardinaggio nella nostra seconda casa in Valtidone. Per non parlare di quelli psicologici. Insomma, un pilastro. Non soltanto per me. Anche per tre delle mie cinque nipotine che mia figlia Francesca, impegnatissima giornalista di moda, ci affida volentieri nei periodi vacanza in campagna.
Così, da quasi vent'anni, Olga è anche "nonna", con tutta l'affettuosità, ma senza l'eccessiva tolleranza della categoria. Tesa ad inculcare, oltre alle nozioni, i principi cardine della morale.
Pilastro senza incrinature? Compagna senza difetti? Uno, e grave, a mio parere ce l'ha. Grande lettrice, parla poco; pochissimo. Mai in ogni caso dei propri sentimenti. Un'ostrica. Ma è poi così grave?
IL GRANDE AMORELuisella Fiumi, nata e vissuta a Milano ma con una lunga parentesi triestina - dal Liceo alla laurea in Lettere -, giornalista, scrittrice, autrice di libri di successo (Come donna zero, Madri e figlie), è stata il grande amore della mia vita. Colpo di fulmine alla mensa dei giornalisti, fine anni Quaranta. Immediatamente affascinato dalla sua avvenenza mediterranea, ma soprattutto dall'acume con cui difendeva le sue convinzioni filosofiche, politiche, letterarie. Affascinanti anche le sue contraddizioni caratteriali: timida ma risoluta, dimessa nell'abbigliamento ma in fondo in fondo un po' snob, radicata nella sua milanesità, ma piena di nostalgia per la "sua" Trieste.
Ci sposammo soltanto nel '53 dopo anni turbolenti di entusiasmi e lunghe rotture. Matrimonio religioso in Sant'Eustorgio anche se tutti e due "non credenti". Molti invitati, gran pranzo al Gallia.
Quelli immediatamente successivi sono stati gli anni più felici della mia vita. Amore fisico tanto; ma soprattutto un dialogo continuo, una catena di confessioni, ricordi, confronti, convincimenti, speranze, quasi a denudarci anche spiritualmente. Non sempre d'accordo - tra l'altro, io socialista, lei chiaramente "liberal" - ma tutti i due entusiasti di tanto calore comunicativo.
Appagato nel mio lavoro giornalistico e ora addirittura alle stelle per l'unione con lei, una sera, dopo un dialogo più caldo del solito, sbottai in questa ingenua, clamorosa esclamazione: "Sono l'uomo più felice del mondo!".
Lei un'affermazione simile non l'avrebbe mai fatta. Al massimo, alla domanda se fosse felice, avrebbe risposto ironicamente: "Beh, quasi". Pienamente penso non lo sia mai stata. Gioia e allegria apparivano sul suo viso soltanto in certe occasioni: articoli ben riusciti, scorribande al Supermarket con l'amica del cuore, scampagnate domenicali in comitiva con le gemelle e altri bambini che ruzzolavano nell'erba.
Purtroppo con il passar del tempo queste illuminazioni vennero facendosi sempre più rare. Al loro posto i primi sintomi della depressione: occhi improvvisamente spenti, viso inerte, opacità. "Ho paura", mormorava. "Di che? Dimmi, dimmi!". "Non so".
Perché? Cosa provocava quella inspiegabile angoscia? Forse l'eccesso di sensibilità? Certo l'aggravarsi della ipoacusia destinata anni prima ad isolarla via via dal mondo. Ma oggi penso - allora non me ne rendevo ben conto - che la causa determinante fosse un'altra: il Ruolo, cioè i compiti tradizionali di moglie, di madre, di donna, che soffocavano la sua ansia di libertà, la sua aspirazione alla parità con l'uomo.
Se davvero l'angoscia aveva queste origini c'era poco da fare. A ben poco infatti valsero amore familiare, successo letterario, cure chimiche e psicanalisi. E neppure l'impegno nel Movimento femminista. Forse si sarebbe salvata con una rottura, con una fuga verso la libertà e l'indipendenza. Magari nella sua Trieste. Ma c'era quella maledetta sordità, e poi ci voleva troppo bene. E non ne ebbe la forza.
IL ROBUSTO PILASTROAl primo incontro con Luisella io avevo trent'anni, lei ventiquattro; a quello con Olga, colei che sarebbe diventata la mia seconda moglie, io sessantadue, lei trentaquattro. E ne dimostrava anche meno. Chiara d'occhi e di capelli, piccolo naso "francese", a tutta prima la scambiai per un'amica delle mie figlie. Ma non ci volle molto a capire che, sotto quell'aspetto, c'era una donna forte, concreta, di poche parole. Una che, di fronte a qualsiasi difficoltà, sfoderava un suo motto perentorio: "No problem!". Del resto le sue capacità le aveva dimostrate coi fatti. Milanese, origini piacentine, laureata in Scienze politiche, sposata giovanissima e presto divorziata, per mantenere se stessa e la sua bambina, Laura, era riuscita a sfondare in un campo diversissimo dal suo: titolare a Bologna di un piccolo Centro audiometrico, specializzato nella vendita di sofisticati apparecchi acustici. E da Bologna, per vedere la sua bambina, affidata ai nonni, sfrecciava a Milano due volte la settimana su un'Alfetta coupé, centocinquanta all'ora.
A convocarla a casa nostra era stata Luisella stessa nella speranza trovasse un rimedio alla sua incubosa ipoacusia. Purtroppo un rimedio tecnico non c'era. Preziosissimo invece l'aiuto psicologico che Olga poté darle: consigli, esortazioni, regole per evitare imbarazzo. Per oltre due anni. Fino alla fine. Rimasto solo, ero convinto che Olga non l'avrei più vista. Invece dopo qualche tempo riapparve. Omaggio alla memoria, solidarietà nel dolore che mi fece piacere. Seguì una lunga serie di incontri sempre più frequenti e più caldi, tanto che alla fine decidemmo di metterci insieme senza progetti matrimoniali, però. Sotto questo aspetto la più intransigente era lei. Quando un anno dopo le proposi di sposarmi, mi bloccò con un sommesso, inesorabile "no", ribadito via via ogni volta che rinnovavo la proposta. (Soltanto pochi anni fa quel "no" si è finalmente sciolto: matrimonio civile, niente inviti, niente pranzo).
Olga entrò dunque nella vecchia casa di via Quadronno e con lei anche sua figlia Laura, una dodicenne graziosa, seria, pulita - oggi giovane architetto - che, con mio gran piacere, allietò le stanze che erano state delle mie figlie.
Da quel giorno Olga ha saputo affrontare e risolvere i nostri problemi, in particolare i miei, all'insegna del "no problem": da quelli dell'assistenza sanitaria a quelli della cucina; da quelli degli spostamenti e dei viaggi, capacissima di resistere ore e ore al volante, a quelli di giardinaggio nella nostra seconda casa in Valtidone. Per non parlare di quelli psicologici. Insomma, un pilastro. Non soltanto per me. Anche per tre delle mie cinque nipotine che mia figlia Francesca, impegnatissima giornalista di moda, ci affida volentieri nei periodi vacanza in campagna.
Così, da quasi vent'anni, Olga è anche "nonna", con tutta l'affettuosità, ma senza l'eccessiva tolleranza della categoria. Tesa ad inculcare, oltre alle nozioni, i principi cardine della morale.
Pilastro senza incrinature? Compagna senza difetti? Uno, e grave, a mio parere ce l'ha. Grande lettrice, parla poco; pochissimo. Mai in ogni caso dei propri sentimenti. Un'ostrica. Ma è poi così grave?
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- LA VITA AGRA DI UNA MOGLIE
ELZEVIRO TORNA IL ROMANZO DI LUISELLA FIUMI
LA VITA AGRA DI UNA MOGLIE
Un «furibondo memoriale» uscito nel 1974
Luisella Fiumi se n' è andata tanti anni fa. Come donna, zero, è il titolo di un suo libro che oggi torna (Calypso editore, pp. 155, 16). «Divertente», lo definisce la noticina editoriale. No, divertente no. Fa sorridere, sì fa sorridere. Ma se appena gratti le parole allegre, trovi tutta la malinconia che sta dietro il non-senso della vita. In questo caso la vita di una donna che paga il prezzo della sua intelligenza: che interpreta il suo ruolo di moglie e di madre al passo con i tempi. Quei tempi. Lei che era «avanti»: con il cervello e con il cuore. Ma era «dentro» quel meccanismo chiamato «famiglia» che una generazione fa metteva la sordina a ogni spirito libero. Lei lo era, uno spirito libero, ma non lo faceva pesare (anni Settanta!) al marito «perfetto», alla mamma «svagatamente autoritaria», alle figlie contestatrici che davano l' assalto al cielo «trovandoci, compagni, alle undici e un quarto all' incrocio tra piazza Santo Stefano e via Larga»; quello che succedeva era ininfluente, compagne e compagni; ma era sempre un bel casino emozionante che valeva la pena di esserci in mezzo. E allora, divertiamoci. A (ri)leggere questo libro-flipper dove quattro palline (lei Luisella, lui il marito, loro le due figlie) disegnano geometrie di famiglia. Anni Settanta, appunto. Con tutte le fatiche di quei giorni. E dei nostri. Perché Luisella Fiumi con il suo understatement, con la sua nonchalance, con la leggerezza di chi sa dire, raccontare, scrivere cose complicatissime facendo finta che siano lievi come un sorriso, toglie la maschera agli schiavi dei doveri borghesi (mariti dolcemente autoritari, mogli coscientemente vittime) di quella-questa Italia. Lui, il Bosi. Per pudore, Luisella scrive Bosi, ma intende Boss. Comanda lui: con garbo, gentilezza, talvolta complicità, ma comanda lui. Ironica-accettazione: «Certo, non era facile essere moglie di un marito perfetto. Era un' immensa fortuna, un onore che, tuttavia, mi dava molte responsabilità». Il cui peso era aggravato dal fatto che «avevo ricevuto un' educazione sbagliata, irrimediabilmente borghese, e in più leggevo Freud». E c' è posto anche per Stalin: il Bosi-fidanzato «chiacchiera molto e possiede Verità Assolute, io Verità Relative, dette anche "Secondo Me". Lui diceva che Stalin in un certo senso aveva ragione, io dicevo di no». Poi il Bosi-marito parla meno, ma spiega: «La differenza tra gli uomini e le donne consiste in questo: che le donne parlano e gli uomini no. Gli uomini parlano solo quando hanno qualcosa da dire, mentre le donne parlano sempre di qualsiasi cosa». E Luisella, tanti anni fa dice: «Gli uomini non parlano per il semplice motivo che non sanno cosa dire. Agiscono molto e pensano poco, per questo non parlano. Chi pensa parla». E mentre tutti e tutte nel 1974, quando uscì per la prima volta questo libro senza etichette (no-pamphlet, no-saggio, no-romanzo, no-diario), ne applaudivano la carica umoristica («amica mia, come ti capisco, come mi hai fatto ridere!»), l' unico che ne seppe interpretare la portata dirompente fu un intellettuale maschio, Claudio Carabba, che lo definì un «furibondo memoriale»: non certo per la forma, ma di sicuro per la sostanza. A volte bastano quei «calzini che non si rammendano da soli» (detto da un marito) per sentirsi «una moglie che non sa fare la moglie come si deve». O quell' «oddio come sei noiosa, come sei suffragetta, non so dove vuoi parare» (detto da una madre) per farsi travolgere da un sillogismo (im)perfetto: «L' uomo è un cretino, la donna è intelligente, quindi deve curarsi dei bambini senza voler trasformare gli uomini in donne di casa». O le figlie che provi a farle ragionare su Lenin e ti senti dire che aveva una faccia tagliente e forse non era simpatico perché pur essendo intelligente era un po' freddino. O te stessa quando ti dicono che non hai bisogno di spazi tuoi perché la casa in cui vivi è tutta tua e tu pensi: «Non c' è lampada, non c' è poltrona, seggiola che non sia mia, asciugamano asciutto che, volendo, non diventi mio. E forse, proprio per questo sono legata alla casa tutta mia con la catena, di "mio" vorrei un paio d' ali grandi e robuste come quelle degli angeli. Per volare via».
Cevasco Francesco
Pagina 31
(26 aprile 2009) - Corriere della Sera
(26 aprile 2009) - Corriere della Sera
domenica 29 gennaio 2012
Constance Briscoe - Brutta (Ugly)
'Ugly' author: I'm a work in progress
Alison Roberts
2 Sep 2009
Constance Briscoe, leading barrister and author of best-selling memoir Ugly, could have bought "a small house" with the amount of money she has so far spent on cosmetic surgery. "Let's see," she says, ticking off her operations one by one. "I've had my nose done, my lips - lower, not upper, and they still need work - the bit beneath my eyes, but not the lids. I've had my teeth whitened, and oh yeah, my feet ..."
She slips off her shoes underneath her desk in Bell Yard, next door to the High Court, and shows me a pair of perfectly normal-looking, well-manicured feet. Last year, she spent about £18,000 on them. "I had an operation in America to have them narrowed," she explains. "You can't get it done here because it might affect the way you walk or stand, but it's actually very simple. They just shave a piece of bone off each foot - about half an inch - though they can also take a little bone out of your toe to make it straighter, or chip out a bit of a big toe, then pull the toe back and insert a screw. All sorts of things."
She appraises her new feet critically: "When I look at them, I do think I could do with another half-inch off each one ..." She laughs, knowing (I think) how ridiculous it is to have screws inserted into your feet just so you can fit into a pair of Luc Berjens heels.
Briscoe is 52 and had her first operation - on her nose - at the age of 20. That initial op was a direct result of the horrific psychological abuse she suffered at the hands of her mother - recounted in the memoir Ugly - and it's tempting to conclude that her entire "cosmetic surgery voyage", as she calls it, has similarly been one long attempt to repair the deep-seated damage caused by her mother's extraordinary cruelty.
It was a miserable and dangerous childhood in Camberwell, south London. Briscoe's mother Carmen was hostile and cutting, repeatedly calling her "bitch" or "scarface" or a "dirty little whore". But it's the adjective "ugly" that truly peppers the memoir, with all its brutal power to destroy a child's confidence and dignity; it was Briscoe's "ugliness", she thinks, coupled with a bed-wetting habit that lasted well into secondary school, that caused her mother to treat her so viciously.
Then known as Clare or Clearie, Briscoe was beaten with a broken plank, had her arm sliced open with a knife, and was regularly punched in the head as she simply passed her mother in the house - all, she surmises, for "offending" the beautiful young Carmen with the plain looks she inherited from her absent father George. Of the many examples of plain nastiness in Ugly, it's Carmen's vicious laughter at the suggestion that she buy Briscoe's school photographs that most stick in my mind. "I've been telling you for years that you're ugly. Have you paid any attention? Have you listened to me? No. Not one word have you listened to. Instead you bring your ugly pictures home and ask me to pay for them."
Late last year, Briscoe hoped to learn in court why her mother behaved as she did. In a much-publicised libel case brought by Carmen against Briscoe and the publishers of Ugly, Constance's childhood was dissected and examined by lawyers, while her family - she has 10 siblings and half-siblings - lined up against her to give testimony on behalf of their mother (presumably, thinks Briscoe, for potential financial gain).
She has now updated Ugly with a near-verbatim account of the trial, a "farcical" case that sought to ruin her as a lawyer and "effectively erase my childhood altogether". Yet the jury, swayed particularly by social services files that proved abuse of other children in the family, refused to believe Carmen and her cohorts, and after two weeks of intense and often painful revelation awarded victory to Briscoe.
"If I'd lost that case, I might as well not have existed," she whispers. "It would have been as though I'd never mattered at all. My mother knew the truth, and so did my brothers and sisters. They came to court to lie. The result was a complete vindication of my struggle to be who I am."
She is, of course, much changed from that little girl over whom lawyers fought. Briscoe is amicably divorced from the father of her two grown-up children, Martin and Francesca, and now lives with her partner Tony Arlidge, QC.
She is frank yet proud, fully prepared to discuss intimate details but quick to disagree with my armchair theses. "Well, I can't begin to tell you how many female lawyers have asked me about it," she says, when I wince at her foot-surgery stories. "They come up to me very surreptitiously, even in court. There I am thinking they are going to talk about the case in hand, but not a bit of it. They want to ask me where they can get foot surgery, and whether they should have it, and I always say to them, absolutely, do it ..."
She is also, of course, much changed in appearance. "At the age of 18, say, I looked very different from the way I do now," she says.
Yet I'm amazed to discover that Briscoe has not had any talking therapy. "Some people might think I need therapy - and maybe I do," she concedes. Even odder, she seems still to feel guilt for what her mother did to her. Briscoe has a tendency to lapse into the third person when describing her childhood self: "I've moved away from that ugly little person over the years. I'm not her any more," she says.
But Clare wasn't really ugly. "Oh, I don't know about that," she says. "To some extent it was her fault, you know. Because she was a bit ugly and she wet the bed and she got in the way ... "
Instead, then, Briscoe has chosen to thoroughly "treat" her surface appearance. In the past, she has been criticised for being a highly successful woman in a deeply serious profession, but spending vast amounts of money on looking pretty.
But of course it goes deeper than mere prettiness: "My life relies on my looks," she replies baldly when I ask her to defend herself against the feminist critique. "Being comfortable with myself relies on my looks. If I'm not happy with the way I look, then I'm forever thinking, 'Oh God, I need to have this done.' There is a necessity for me to have work done. Until I feel comfortable with myself I will continue to have surgery."
It is a measure of the extraordinary self-confidence Briscoe somehow retained as a child that she pitched up at the door of a cosmetic surgeon in Harley Street as a mere teenager. She found him in the Yellow Pages ("I got very lucky indeed") and has used him ever since. Back then, of course, she could not afford the nose operation she so desperately wanted, and the surgeon himself "suggested my head needed looking at".
But it is in her nature to confront problems head-on, she says, and "I was going to have that surgery come what may". With stunning single-mindedness she did a series of jobs while studying law at Newcastle University - and simply saved up for it. "The more my mother put me down, the more I was determined to succeed, the more she isolated me, the more I relied on myself."
Since the libel case ended last November she has not seen or spoken to any member of her family. "That's it, and I think it's good this way," she says. "I was on my own in that trial - as always." Her sister Pauline, known as "Four Eyes", initially pledged to stand witness for her in court, but failed to show up.
Similarly, her mother, who owes her daughter's court costs, has now apparently vanished. "She was on a no-win, no-fee herself but Hodder [the publisher of Ugly] and I have between us had to pay more than £1 million. We should get that back from her but she has paid not one penny of it. She has effectively disappeared."
Meanwhile, Briscoe is turning her hand to crime fiction - and also plotting her next bout of cosmetic surgery. There is, she says, "unfinished business" with her nose and the corners of her lips; possibly more off her feet; and the prospect, obviously, of some form of anti-ageing surgery in the future. "If I thought I needed my face pulling up, I'd get in there quick ..."
Her partner Tony does not approve - "he thinks I'm on another planet when it comes to cosmetic surgery" - but mere disapproval has never stopped Constance Briscoe.
"I don't make any excuses for having had surgery, and I'm not going to pretend I haven't had it done. Do I regret it? Not for a single half a second. Would I have more done? Most definitely. It is extreme, though I'm not quite Michael Jackson. But does it make me feel better? Well, yes, it really does."
* The updated version of Ugly is published by Hodder
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OMG how could a mother do that to a child? I can not get over this story. It has bought tears to my eyes. Im very proud of you Constance for not taking your life, that would have been one of the most hardest times in your life. As for Carmen, you need a bullet to your head lady, how the hell can you do such things to your own flesh and blood? Children are bought in to this world for a reason not to be abused especially from there own parents. We need to put a stop to people like this, maybe electric chair? bring it back i say!!!!!!
- NzMaori, Aotearoa New Zealand, 10/12/2011 03:26
AM SO PROUD CONSTANCE MADE THIS BOOK BECAUSE THE WORLD NEEDED TO KNOW HOW EVIL HER MOTHER AND STEP-DAD WAS TO HER, HER SIBLINGS DID NOTHING TO HELP I SAY THAT IS HEARTLESS AND CRUEL. HER MOTHER IS A EVIL WORK FROM THE DEVIL AND I PRAY GOD GIVES HER HER OWN PUNISHMENT FOR PUTTING THIS WONDERFUL WOMEN INTO HELL, THIS BOOK MADE ME SO SAD KNOWING YUR OWN MOTHER CAN DO THIS TO YOU. IF THAT WAS ME GOD KNOWS I WOULD KILL HER MYSELF CONSTANCE KEEP YOUR HEAD HIGH OVER HEAR WE LOVE YOU AND YOUR MOTHER WILL PAY FOR HER DISGUSTING DEEDS. IF I SAW HER NOW I WIIL HURT HER SO MUCH BECAUSE OF HOW SHE TREATED YOU SHE SHOULD BE LOCKED UP, SHE IS LUCKY STUPID WOMEN YOU ARE THE ONE WHO IS UGLY LOOK AT YOU FOOLISH OLD CRAP
- JJ, London, 31/10/2011 19:41
Ann of Norfolk, you are as monstrous, abusive and vicious as Constance's mother.
- Mitey, condom, france, 11/01/2010 23:28
I don't suppose for one moment that her mother has the money to pay her. What a nasty, vengeful nutter this woman is.
- Sue R, London, 11/01/2010 22:28
Stop whinging and moaning about your mother. That's an excuse because you despise yourself. Your kind can be seen frequently in the City of London with their weave-on (looking ridiculous) with tight skirts and cultivated accents. Thinking you are better than everyone else because you got through the net to higher education. Carry on in your futile dreamland. You will never ever look like your European peers, the ones that you envy. What a sad woman you are!
- Ann, Norfolk, 11/01/2010 22:28
Hey, you go girl!
Though I'm Nigerian I understand how cruel your Mum could have been to you as a child as I had a Jamaican babysitter who was very mean to me about my hair, etc.
You've done well so enjoy the fruits of your labour.x
- Danny Adigwe, London, 11/01/2010 22:28
Sue R, What a nasty piece of work you are. I am a white woman and I understand what this lady has been through. Constance hold your head high and ignore this unpleasant woman. It is your life, do what you want with it.
- Trisha Crawford, EAST CROYDON, 11/01/2010 22:28
Court case aside, your mum has clearly won, if at this age you are mutilating yourself because your mum said you are ugly and you concur that yes you were ugly.
I too am a black woman but no insecurities will make me alter my black features to that of a white idyll. A thin nose, slender lips narrow feet, long straight hair.
Your insecurities are no different to those of Michael Jackson, his father, your mum, the differences I see are that you are more educated than he but have less money to indulge in the ludicrous surgery excesses of MJ.
I read your book, but at what point will you exorcise your ghosts, or any accomplishments you achieve will be dwarfed by your abuse and you will be remembered for that only no matter how much else you achieve. Move forward and don't let your past define you, its a part of you, but you seem to be risking it being all encompassing. You let the abuse you suffered propel you and cause you to strive forward in life, but by dwelling on it now to so great an extent it diminishes personally and professionally from who you are today. When will it be time to put your ghosts bed before they haunt you forever.
- The Truthspeaker, Notting Hill, London, 11/01/2010 22:28
From what I'd read, Sue R, Miss Briscoe wasn't the only plaintiff in this case. Hodder and Stoughton, the Book's publisher, were also defending the action, and as such are entitled to recover their costs too. As I've also read, neither Miss Briscoe nor Hodder want Carmen put out of her home, so they would settle on her being allowed to keep the property, which will revert to the plaintiffs when she dies.
All things considered, I think this would be a fair settlement, don't you, Sue R?
- Nigel, Portsmouth UK, 11/01/2010 22:28
Constance Briscoe seems very full of herself. Her mother doesn't sound like a good mother, but there are better ways to deal with her tough childhood than wanting to be admired by the general public. Many children are now are having a tougher childhood than she ever had, and I bet they won't be writing books with there ego all over them.
- Ben S, London, 11/01/2010 22:28
Would she encourage/insinuate that her children change any features they have inherited from her? I wonder indeed if they have already.
- Sade, Lon UK, 11/01/2010 22:28
I am shocked by some of the nasty comments made above. What I see here is a strong woman with many issues that she has not yet dealt with- I think counselling may be what is required here. If she wants surgery, that's up to her, it's not about 'not looking black', it's about how she feels about herself. I think Constance is attractive but she obviously would not agree with me as she has had such a difficult childhood and being told you are ugly constantly would leave its mark on anyone! Writing her book has probably been cathartic for her, but it has obviously created more problems with her family. I wish her well.
- Lorraine, st albans, 11/01/2010 22:28
Pathetic. If you could change your skin colour you would do that as well. I do not have time for people such as this woman. They disgust me. You still do not have the ability to be you with your false hair and false face. You will live in a perpetual world of self loathing and discontentment. I am black and proud and no way would I walk around with a weave-on. As a child of African descent here I am happy in my skin and with my nose and lips as they are. I have far more important things to do than try to be European. Vive le difference! I once saw a black woman in Camden Lock with black skin whitened with baking powder, yes she hurled abuse at me as she could not bear to look in the mirror and see my black skin. I let her know yes I am black and proud get over it.
- Ann, Norfolk, 11/01/2010 22:28
So you took the easy option and let your mum win and have the satisfaction of being 'right' Her issues have become yours and you will never be free of them. You have to accept, deal with, love and allow who you really are to be your path to beauty and get a bit of help with health and how to dress and make up. You have chosen a catalogue of looks and you may find that beauty comes in colours sizes and is a fashion. You brought Michael Jackson up - how do you think it got that far Take care
- Amazonmothe, hasting, 11/01/2010 22:28
I actually know this lady, she seems like a pleasant person who has done well enough for herself despite her childhood.
- Miles T. Bunting, London, 11/01/2010 22:28
Ann Norfolk,
Your pathetic, she didn't 'get through the net', she worked hard and achieved what she did because she refused to believe that she could only achieve so much as a black woman. You only confirm the worst in society by identifying yourself with your features. I'm black as well but don't loathe other black achievers, maybe you think she should have remained in the 'ghetto' like you .... in Norfolk.
- Emmanuel, London, 11/01/2010 22:28
"The Truthspeaker, Notting Hill, London
I don't suppose for one moment that her mother has the money to pay her. What a nasty, vengeful nutter this woman is."
You obviously havent read the article properly, her mother initiated the case against her (Constance), if the mother is stiffed with a bill after trying to get cash out of her daughter then tough luck. You obviously havent read the book either this is not a case of a daughter not getting a pony when she was 12 it's the story of an abused child.
I dont think Constance is has truely dealt with her mother/childhood at all but to now have the choice and money to run away from the fresh hell that was Camberwell for this woman is her choice, weaves, plastic surgey, shaven feet she harms no one and has achieved plenty. Maybe go easy with your judgements??
- Ranger, london, 11/01/2010 22:28
Alison Roberts
2 Sep 2009
Constance Briscoe, leading barrister and author of best-selling memoir Ugly, could have bought "a small house" with the amount of money she has so far spent on cosmetic surgery. "Let's see," she says, ticking off her operations one by one. "I've had my nose done, my lips - lower, not upper, and they still need work - the bit beneath my eyes, but not the lids. I've had my teeth whitened, and oh yeah, my feet ..."
She slips off her shoes underneath her desk in Bell Yard, next door to the High Court, and shows me a pair of perfectly normal-looking, well-manicured feet. Last year, she spent about £18,000 on them. "I had an operation in America to have them narrowed," she explains. "You can't get it done here because it might affect the way you walk or stand, but it's actually very simple. They just shave a piece of bone off each foot - about half an inch - though they can also take a little bone out of your toe to make it straighter, or chip out a bit of a big toe, then pull the toe back and insert a screw. All sorts of things."
She appraises her new feet critically: "When I look at them, I do think I could do with another half-inch off each one ..." She laughs, knowing (I think) how ridiculous it is to have screws inserted into your feet just so you can fit into a pair of Luc Berjens heels.
Briscoe is 52 and had her first operation - on her nose - at the age of 20. That initial op was a direct result of the horrific psychological abuse she suffered at the hands of her mother - recounted in the memoir Ugly - and it's tempting to conclude that her entire "cosmetic surgery voyage", as she calls it, has similarly been one long attempt to repair the deep-seated damage caused by her mother's extraordinary cruelty.
It was a miserable and dangerous childhood in Camberwell, south London. Briscoe's mother Carmen was hostile and cutting, repeatedly calling her "bitch" or "scarface" or a "dirty little whore". But it's the adjective "ugly" that truly peppers the memoir, with all its brutal power to destroy a child's confidence and dignity; it was Briscoe's "ugliness", she thinks, coupled with a bed-wetting habit that lasted well into secondary school, that caused her mother to treat her so viciously.
Then known as Clare or Clearie, Briscoe was beaten with a broken plank, had her arm sliced open with a knife, and was regularly punched in the head as she simply passed her mother in the house - all, she surmises, for "offending" the beautiful young Carmen with the plain looks she inherited from her absent father George. Of the many examples of plain nastiness in Ugly, it's Carmen's vicious laughter at the suggestion that she buy Briscoe's school photographs that most stick in my mind. "I've been telling you for years that you're ugly. Have you paid any attention? Have you listened to me? No. Not one word have you listened to. Instead you bring your ugly pictures home and ask me to pay for them."
Late last year, Briscoe hoped to learn in court why her mother behaved as she did. In a much-publicised libel case brought by Carmen against Briscoe and the publishers of Ugly, Constance's childhood was dissected and examined by lawyers, while her family - she has 10 siblings and half-siblings - lined up against her to give testimony on behalf of their mother (presumably, thinks Briscoe, for potential financial gain).
She has now updated Ugly with a near-verbatim account of the trial, a "farcical" case that sought to ruin her as a lawyer and "effectively erase my childhood altogether". Yet the jury, swayed particularly by social services files that proved abuse of other children in the family, refused to believe Carmen and her cohorts, and after two weeks of intense and often painful revelation awarded victory to Briscoe.
"If I'd lost that case, I might as well not have existed," she whispers. "It would have been as though I'd never mattered at all. My mother knew the truth, and so did my brothers and sisters. They came to court to lie. The result was a complete vindication of my struggle to be who I am."
She is, of course, much changed from that little girl over whom lawyers fought. Briscoe is amicably divorced from the father of her two grown-up children, Martin and Francesca, and now lives with her partner Tony Arlidge, QC.
She is frank yet proud, fully prepared to discuss intimate details but quick to disagree with my armchair theses. "Well, I can't begin to tell you how many female lawyers have asked me about it," she says, when I wince at her foot-surgery stories. "They come up to me very surreptitiously, even in court. There I am thinking they are going to talk about the case in hand, but not a bit of it. They want to ask me where they can get foot surgery, and whether they should have it, and I always say to them, absolutely, do it ..."
She is also, of course, much changed in appearance. "At the age of 18, say, I looked very different from the way I do now," she says.
Yet I'm amazed to discover that Briscoe has not had any talking therapy. "Some people might think I need therapy - and maybe I do," she concedes. Even odder, she seems still to feel guilt for what her mother did to her. Briscoe has a tendency to lapse into the third person when describing her childhood self: "I've moved away from that ugly little person over the years. I'm not her any more," she says.
But Clare wasn't really ugly. "Oh, I don't know about that," she says. "To some extent it was her fault, you know. Because she was a bit ugly and she wet the bed and she got in the way ... "
Instead, then, Briscoe has chosen to thoroughly "treat" her surface appearance. In the past, she has been criticised for being a highly successful woman in a deeply serious profession, but spending vast amounts of money on looking pretty.
But of course it goes deeper than mere prettiness: "My life relies on my looks," she replies baldly when I ask her to defend herself against the feminist critique. "Being comfortable with myself relies on my looks. If I'm not happy with the way I look, then I'm forever thinking, 'Oh God, I need to have this done.' There is a necessity for me to have work done. Until I feel comfortable with myself I will continue to have surgery."
It is a measure of the extraordinary self-confidence Briscoe somehow retained as a child that she pitched up at the door of a cosmetic surgeon in Harley Street as a mere teenager. She found him in the Yellow Pages ("I got very lucky indeed") and has used him ever since. Back then, of course, she could not afford the nose operation she so desperately wanted, and the surgeon himself "suggested my head needed looking at".
But it is in her nature to confront problems head-on, she says, and "I was going to have that surgery come what may". With stunning single-mindedness she did a series of jobs while studying law at Newcastle University - and simply saved up for it. "The more my mother put me down, the more I was determined to succeed, the more she isolated me, the more I relied on myself."
Since the libel case ended last November she has not seen or spoken to any member of her family. "That's it, and I think it's good this way," she says. "I was on my own in that trial - as always." Her sister Pauline, known as "Four Eyes", initially pledged to stand witness for her in court, but failed to show up.
Similarly, her mother, who owes her daughter's court costs, has now apparently vanished. "She was on a no-win, no-fee herself but Hodder [the publisher of Ugly] and I have between us had to pay more than £1 million. We should get that back from her but she has paid not one penny of it. She has effectively disappeared."
Meanwhile, Briscoe is turning her hand to crime fiction - and also plotting her next bout of cosmetic surgery. There is, she says, "unfinished business" with her nose and the corners of her lips; possibly more off her feet; and the prospect, obviously, of some form of anti-ageing surgery in the future. "If I thought I needed my face pulling up, I'd get in there quick ..."
Her partner Tony does not approve - "he thinks I'm on another planet when it comes to cosmetic surgery" - but mere disapproval has never stopped Constance Briscoe.
"I don't make any excuses for having had surgery, and I'm not going to pretend I haven't had it done. Do I regret it? Not for a single half a second. Would I have more done? Most definitely. It is extreme, though I'm not quite Michael Jackson. But does it make me feel better? Well, yes, it really does."
* The updated version of Ugly is published by Hodder
Reader views (17) Add your view
OMG how could a mother do that to a child? I can not get over this story. It has bought tears to my eyes. Im very proud of you Constance for not taking your life, that would have been one of the most hardest times in your life. As for Carmen, you need a bullet to your head lady, how the hell can you do such things to your own flesh and blood? Children are bought in to this world for a reason not to be abused especially from there own parents. We need to put a stop to people like this, maybe electric chair? bring it back i say!!!!!!
- NzMaori, Aotearoa New Zealand, 10/12/2011 03:26
AM SO PROUD CONSTANCE MADE THIS BOOK BECAUSE THE WORLD NEEDED TO KNOW HOW EVIL HER MOTHER AND STEP-DAD WAS TO HER, HER SIBLINGS DID NOTHING TO HELP I SAY THAT IS HEARTLESS AND CRUEL. HER MOTHER IS A EVIL WORK FROM THE DEVIL AND I PRAY GOD GIVES HER HER OWN PUNISHMENT FOR PUTTING THIS WONDERFUL WOMEN INTO HELL, THIS BOOK MADE ME SO SAD KNOWING YUR OWN MOTHER CAN DO THIS TO YOU. IF THAT WAS ME GOD KNOWS I WOULD KILL HER MYSELF CONSTANCE KEEP YOUR HEAD HIGH OVER HEAR WE LOVE YOU AND YOUR MOTHER WILL PAY FOR HER DISGUSTING DEEDS. IF I SAW HER NOW I WIIL HURT HER SO MUCH BECAUSE OF HOW SHE TREATED YOU SHE SHOULD BE LOCKED UP, SHE IS LUCKY STUPID WOMEN YOU ARE THE ONE WHO IS UGLY LOOK AT YOU FOOLISH OLD CRAP
- JJ, London, 31/10/2011 19:41
Ann of Norfolk, you are as monstrous, abusive and vicious as Constance's mother.
- Mitey, condom, france, 11/01/2010 23:28
I don't suppose for one moment that her mother has the money to pay her. What a nasty, vengeful nutter this woman is.
- Sue R, London, 11/01/2010 22:28
Stop whinging and moaning about your mother. That's an excuse because you despise yourself. Your kind can be seen frequently in the City of London with their weave-on (looking ridiculous) with tight skirts and cultivated accents. Thinking you are better than everyone else because you got through the net to higher education. Carry on in your futile dreamland. You will never ever look like your European peers, the ones that you envy. What a sad woman you are!
- Ann, Norfolk, 11/01/2010 22:28
Hey, you go girl!
Though I'm Nigerian I understand how cruel your Mum could have been to you as a child as I had a Jamaican babysitter who was very mean to me about my hair, etc.
You've done well so enjoy the fruits of your labour.x
- Danny Adigwe, London, 11/01/2010 22:28
Sue R, What a nasty piece of work you are. I am a white woman and I understand what this lady has been through. Constance hold your head high and ignore this unpleasant woman. It is your life, do what you want with it.
- Trisha Crawford, EAST CROYDON, 11/01/2010 22:28
Court case aside, your mum has clearly won, if at this age you are mutilating yourself because your mum said you are ugly and you concur that yes you were ugly.
I too am a black woman but no insecurities will make me alter my black features to that of a white idyll. A thin nose, slender lips narrow feet, long straight hair.
Your insecurities are no different to those of Michael Jackson, his father, your mum, the differences I see are that you are more educated than he but have less money to indulge in the ludicrous surgery excesses of MJ.
I read your book, but at what point will you exorcise your ghosts, or any accomplishments you achieve will be dwarfed by your abuse and you will be remembered for that only no matter how much else you achieve. Move forward and don't let your past define you, its a part of you, but you seem to be risking it being all encompassing. You let the abuse you suffered propel you and cause you to strive forward in life, but by dwelling on it now to so great an extent it diminishes personally and professionally from who you are today. When will it be time to put your ghosts bed before they haunt you forever.
- The Truthspeaker, Notting Hill, London, 11/01/2010 22:28
From what I'd read, Sue R, Miss Briscoe wasn't the only plaintiff in this case. Hodder and Stoughton, the Book's publisher, were also defending the action, and as such are entitled to recover their costs too. As I've also read, neither Miss Briscoe nor Hodder want Carmen put out of her home, so they would settle on her being allowed to keep the property, which will revert to the plaintiffs when she dies.
All things considered, I think this would be a fair settlement, don't you, Sue R?
- Nigel, Portsmouth UK, 11/01/2010 22:28
Constance Briscoe seems very full of herself. Her mother doesn't sound like a good mother, but there are better ways to deal with her tough childhood than wanting to be admired by the general public. Many children are now are having a tougher childhood than she ever had, and I bet they won't be writing books with there ego all over them.
- Ben S, London, 11/01/2010 22:28
Would she encourage/insinuate that her children change any features they have inherited from her? I wonder indeed if they have already.
- Sade, Lon UK, 11/01/2010 22:28
I am shocked by some of the nasty comments made above. What I see here is a strong woman with many issues that she has not yet dealt with- I think counselling may be what is required here. If she wants surgery, that's up to her, it's not about 'not looking black', it's about how she feels about herself. I think Constance is attractive but she obviously would not agree with me as she has had such a difficult childhood and being told you are ugly constantly would leave its mark on anyone! Writing her book has probably been cathartic for her, but it has obviously created more problems with her family. I wish her well.
- Lorraine, st albans, 11/01/2010 22:28
Pathetic. If you could change your skin colour you would do that as well. I do not have time for people such as this woman. They disgust me. You still do not have the ability to be you with your false hair and false face. You will live in a perpetual world of self loathing and discontentment. I am black and proud and no way would I walk around with a weave-on. As a child of African descent here I am happy in my skin and with my nose and lips as they are. I have far more important things to do than try to be European. Vive le difference! I once saw a black woman in Camden Lock with black skin whitened with baking powder, yes she hurled abuse at me as she could not bear to look in the mirror and see my black skin. I let her know yes I am black and proud get over it.
- Ann, Norfolk, 11/01/2010 22:28
So you took the easy option and let your mum win and have the satisfaction of being 'right' Her issues have become yours and you will never be free of them. You have to accept, deal with, love and allow who you really are to be your path to beauty and get a bit of help with health and how to dress and make up. You have chosen a catalogue of looks and you may find that beauty comes in colours sizes and is a fashion. You brought Michael Jackson up - how do you think it got that far Take care
- Amazonmothe, hasting, 11/01/2010 22:28
I actually know this lady, she seems like a pleasant person who has done well enough for herself despite her childhood.
- Miles T. Bunting, London, 11/01/2010 22:28
Ann Norfolk,
Your pathetic, she didn't 'get through the net', she worked hard and achieved what she did because she refused to believe that she could only achieve so much as a black woman. You only confirm the worst in society by identifying yourself with your features. I'm black as well but don't loathe other black achievers, maybe you think she should have remained in the 'ghetto' like you .... in Norfolk.
- Emmanuel, London, 11/01/2010 22:28
"The Truthspeaker, Notting Hill, London
I don't suppose for one moment that her mother has the money to pay her. What a nasty, vengeful nutter this woman is."
You obviously havent read the article properly, her mother initiated the case against her (Constance), if the mother is stiffed with a bill after trying to get cash out of her daughter then tough luck. You obviously havent read the book either this is not a case of a daughter not getting a pony when she was 12 it's the story of an abused child.
I dont think Constance is has truely dealt with her mother/childhood at all but to now have the choice and money to run away from the fresh hell that was Camberwell for this woman is her choice, weaves, plastic surgey, shaven feet she harms no one and has achieved plenty. Maybe go easy with your judgements??
- Ranger, london, 11/01/2010 22:28
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